Sintesi impropria (e decisamente parziale) di Lucia Giammarinaro dell’intervento di Frederik Anseel

Riporto in questo intervento alcune considerazioni che vengono dalla ricerca ma anche dalle continue chiacchierate con amici e ricercatori di tutto il mondo. Pur rispettando la specificità di ogni singola nazione e continente, credo che, nonostante siano state vissute in fasi temporali diverse, alcune caratteristiche siano possibili da rintracciare in ogni esperienza a livello mondiale.

Ci tengo però ad aggiungere, che per quanto abbia cercato di raccogliere dati il più possibile scientifici, non abbiamo dati! La situazione è stata troppo improvvisa e troppo variabile e quindi dobbiamo accontentarci di visioni parziali e e di dati mediamente validi.

1. Cosa abbiamo imparato?

Se immaginiamo cosa abbiamo imparato da questo anno, o forse dovremmo dire due, di pandemia potremmo usare un’immagine western: il buono, il brutto e il cattivo. 

Il buono lo chiamerei “Casa”. Nel buono vorrei mettere i vantaggi di aver lavorato da casa, la maggiore collaborazione con il team, il fatto che siamo riusciti a continuare ad essere produttivi, la flessibilità degli orari che abbiamo raggiunto.

Il brutto lo chiamerei “bambini”. Siamo partiti con il lavoro da casa senza aver fatto prima nessun test, completamente disorganizzati e provando a capitalizzare quello che nel tempo avevamo appreso per altre ragioni. Chi ha pagato di più questa condizione sono probabilmente i bambini, o più in generale il sistema familiare, costretto alla didattica a distanza oppure a mantenersi “buoni” mentre i genitori lavoravano. Allo stesso tempo la perdita di informalità, di relazioni casuali per strada o in piazza, è un altro degli aspetti peggiori di questa pandemia.

Il brutto lo chiamerei “Manager”. Proprio coloro che erano chiamati a gestire delle squadre hanno forse sentito più di tutti il sentirsi esausti, la perdita dei confini, la dimensione del lavoro virtuale, la perdita di una cultura identitaria all’interno della squadra. Resta innegabile la difficoltà di gestire una squadra in un modo nuovo di intendere l’empatia e le relazioni.

2. Cosa è rimasto?

Uno dei costrutti che si è sentito più spesso in questa pandemia è probabilmente quello di resilienza. Gli studi evidenziano che, nonostante la media del livello di resilienza nella popolazione sia rimasto pressoché inalterato, in realtà si sono generati due gruppi: nel primo la resilienza è risultata molto maggiore, ma nel secondo molto minore. Sentiamo poi nello specifico dei dettagli ci accorgiamo che ognuno ha una percezione di aver avuto dei vantaggi dalla situazione di pandemica ed altri degli svantaggi. Tra i vantaggi citiamo: la maggiore conoscenza di se stessi, una maggiore capacità di gestione del tempo, la capacità di comunicare in modo più efficiente, la possibilità di dedicare tempo al proprio sviluppo personale. Tra gli svantaggi si evidenziano: la mancanza di creatività, la difficoltà di fronteggiare i problemi, una minor motivazione sul lavoro. 

Due curiosità. Quando durante una video-chiamata guardiamo contemporaneamente noi stessi e il pubblico, abbassiamo i nostri livelli di performance. Il fatto di sapere e poter vedere come gli altri ci vedono aumenta infatti i livelli di stress. Il mio consiglio e quindi: spegnete la telecamera! Un altro aspetto è che, paradossalmente, nel lavoro virtuale sono aumentate le comunicazioni asincrone, come le e-mail, e diminuite quelle sincrone, come per esempio i messaggi e gli SMS.

3. Il nuovo significato del lavoro

Tuttavia, questi aspetti, seppur essenziali, non sono fondamentali e rivoluzionari quanto il più grande cambiamento che possiamo ritrovare nel significato del lavoro.credo che è un cambiamento simile si sia avuto nei posti di lavoro quando si sono cominciate ad usare quotidianamente le e-mail! Pensate ad un mondo senza e-mail e pensatelo con: questo gli darà la portata del lavoro pre e post pandemia.nel molti questionari che si stanno facendo in questi giorni succosa i dipendenti vogliono una volta tornati al lavoro, la cosa più importante e ricorrente sembra essere il fatto che non sanno quello che vogliono. Infatti i questionari si concentrano su “quanto tempo” mentre le persone sono molto più focalizzate su “come” tornare al lavoro. Le grandi dimissioni che di cui sentiamo in questi giorni non sono diverse da altri fenomeni simili che abbiamo visto durante le precedenti crisi economiche. Questa in particolare, però sembra il tentativo di ricerca di una differente esperienza di lavoro: le persone sanno cosa non vogliono dal lavoro e quindi non vogliono tornare indietro.

4. La nuova natura del lavoro

L’esperienza della pandemia ci ha insegnato che la propria “presenza” ha un impatto sulla produttività degli altri. Questo ha rafforzato non solo il senso di autonomia, ma anche la fiducia reciproca e il senso di responsabilità sociale. Le persone hanno imparato ad usare lo strumento virtuale e quello online sulla base di quello che è più opportuno per una determinata situazione.in persona sono più efficaci quelle interazioni che servono a generare uno scopo, a risolvere un problema a ispirare e motivare. Allo stesso tempo essere in presenza abbassa le capacità di decision making, rende più difficile il reperimento delle informazioni, ostacola il coordinamento delle attività.

5. Attenzione! Qualcosa è andato storto!

Attenzione però, perché qualcosa è andato storto, anzi due. Le donne hanno continuato ad essere meno produttive e meno retribuite anche a casa. Allo stesso tempo sono loro che in maggioranza vorrebbero restare a casa e continuare a lavorare da remoto. Ci chiediamo quindi quale equo trattamento ci possa essere in uno stato di completa libertà al lavoratore rispetto alla gestione della propria presenza o meno in azienda. Siamo sicuri che sia una vera espressione di libertà? O, più probabilmente, il forte diventerà ancora più forte? E questo non farà altro che contribuire alla crescita del divario tra disagio ricchezza?

In secondo luogo, sembra che i messaggi asincroni creino impatto maggiore rispetto alla continua connessione. In questo si apre un discorso importante rispetto al diritto alla disconnessione.

6. To do list

Lascio tre domande per i lavori di gruppo che sono anche le tre cose che ci restano da fare perché questo anno di pandemia sia veramente preparatorio al nuovo mondo del lavoro.

1) Possiamo sviluppare un primo gruppo di buone pratiche per le organizzazioni che stanno gestendo il ritorno in ufficio – breve termine -?

2) Possiamo sviluppare un gruppo di suggerimenti per manager che hanno bisogno di gestire team e accompagnarli nella transizione? 

3) Prevedere è difficile, specialmente quando si parla del futuro! Aggrappandoci all’imprevedibilità, come potrebbero le organizzazioni prepararsi nel medio e lungo termine?

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